La laguna glaciale termometro dei mutamenti climatici
Marco Vinci / 12 agosto 2021 / CriosferaNel sud est dell’Islanda sorge uno dei luoghi più amati dai visitatori d’Islanda; la grande laguna glaciale di Jökulsárlón. Questa laguna, affascinante per la sua immensità e per il grande numero di frammenti di ghiaccio alla deriva che si accumulano sull’emissario e lentamente fondono prima di prendere il largo nell’oceano, è uno di quei luoghi dove la bellezza del paesaggio è inversamente proporzionale alla salubrità del nostro clima. Con il progressivo innalzamento delle temperature, lo scioglimento dei ghiacci ed il crollo delle fronti glaciali, aumentano sempre di più, raggiungendo in taluni casi condizioni estreme. Nella laguna un occhio attento non potrà farsi sfuggire un particolare legato al colore di alcuni grandi frammenti di ghiaccio alla deriva. Ghiaccio color cobalto, vitreo e compatto, ben differente dai blocchi bianco latte con striature nere dall’aspetto saccaroide.
Questi frammenti, passione per i fotografi, testimoniano le profonde ferite che la calotta glaciale islandese sta patendo. Ghiacci antichi, che tornano indietro nel tempo, quando negli ultimi periodi freddi della nostra Terra, le terre emerse si ricoprivano di importanti calotte glaciali. Il progressivo innalzamento delle temperature ho provocato lo scioglimento dei ghiacci e la formazione di profonde fratture che velocizzano lo scivolamento verso valle delle lingue glaciali con il conseguente fenomeno della perdita di volume di ghiaccio. Nelle lagune glaciali questo fenomeno è tangibile e inesorabile. Al problema della perdita di volume di ghiaccio gli effetti del surriscaldamento globale, stanno facendo diminuire fortemente le concentrazioni di ossigeno nei laghi situati in regioni a clima temperato. Si tratta di un fenomeno che prosegue da almeno quattro decenni e che minaccia la biodiversità e la potabilità dell’acqua dolce. Gli ultimi rapporti scientifici indicano che nelle acque profonde dei laghi ossigeno in calo del 18,6 per cento.
A spiegarlo è uno studio internazionale pubblicato il 2 giugno alla rivista scientifica Nature, curato in particolare dal Rensselaer Polytechnic Institute americano. Secondo l’analisi, a partire dal 1980 i livelli di ossigeno in tali laghi è sceso del 5,5% in superficie e del 18,6% nelle acque più profonde. Un cambiamento gigantesco, che presenta un impatto diretto sugli ecosistemi, in particolare per la vita dei pesci. Ma anche altera anche i cicli biochimici, provocando anche maggiori emissioni di gas ad effetto serra nell’atmosfera. Benché i laghi rappresentino “soltanto” il 3 per cento della superficie della Terra, essi sono di grande importanza, anche e soprattutto per la biodiversità che ospitano. Inoltre, tali bacini sono più piccoli dei mari, e per questo reagiscono più rapidamente agli effetti dei cambiamenti ambientali. I risultati del rapporto indicano infatti che il calo dell’ossigeno risulta da tre a nove volte più veloce rispetto a quello che si registra negli oceani.
I dati sono stati raccolti dai ricercatori del Global Lake Ecological Observatory Network, che hanno studiato più di 45mila campioni (i più vecchi risalgono al 1941, mentre i più recenti sono stati prelevati nel 2019) provenienti da 400 laghi, principalmente in America del Nord e in Europa. Il principale motore del calo dell’ossigeno – pari a 0,11 milligrammi per litro per ciascun decennio – è l’aumento della temperatura media globale, che sulla superficie dei laghi ha comportato un incremento di 0,38 gradi centigradi.
Per le acque più profonde, invece, la temperatura è rimasta pressoché invariata. Ma l’aumento in superficie ha aumentato la differenza di densità tra le due porzioni, il che ha reso più difficile la miscelazione delle acque e dunque il “rinnovo” dell’ossigeno.
Tale dinamica, al contempo, favorisce i microrganismi capaci di vivere in assenza di ossigeno, come nel caso di alcuni batteri che producono metano, le cui alte concentrazioni destabilizzano le regolari dinamiche dell’atmosfera.
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