Il ghiacciaio tra i vulcani
Marco Vinci / 12 agosto 2021 / CriosferaSólheimajökull è classificabile come una lingua glaciale dell'imponente calotta di Mýrdalsjökull sulla costa meridionale dell'Islanda. Lungo circa otto chilometri e largo due chilometri, offre un’incredibile punto di osservazione di quei fenomeni tipicamente islandesi che sono le ricadute delle piogge di ceneri vulcaniche generate dei vulcani che vivono nelle immediate vicinanze o al disotto delle calotte glaciali.
Il Mýrdalsjökull è la quarta calotta glaciale più grande dell'Islanda e sotto la sua spessa superficie si trova uno dei vulcani più famosi del paese; il Katla. Ma oltre al Katla, nel 2010 si è manifestato per la sua imponenza anche il vicino Eyjafjallajökull che con la sua eruzione mise in difficoltà l’intera circolazione aerea d’Europa.
Sólheimajökull ha diversi tratti distintivi che lo separano dagli altri ghiacciai, ma uno in particolare lo rende assolutamente riconoscibile; la presenza di un manto di ceneri vulcaniche che lo ricoprono quasi completamente, molto ben visibili nel periodo estivo, quando l’apporto di neve stagionale non ricopre il ghiacciaio. La presenza di ceneri vulcaniche fini, dovuto soprattutto alle ricadute piroclastiche connesse con le attività eruttive in assenza di colate laviche, oltre a conferire un tipico colore nero ai ghiacciai, li preservano della fusione.
Anche il Sólheimajökull, come tutti i ghiacciai islandesi sta risentendo dei mutamenti climatici, ma nel suo insieme riesce a nascondere bene la perdita di volume di ghiaccio.
Le potenti morene laterali e frontali che si aprono a monte della laguna glaciale, lasciano ben vedere la regressione della fronte glaciale, ed in estate raggiungendo il piede del ghiacciaio, è possibile toccare con mano i tanti sedimenti fini generati dall’esarazione glaciale (tilliti).
Dalla laguna del Sólheimajökull nasce un torrente chiamato Jökulsá á Sólheimasandi. Questo corso d’acqua scorre attraverso una pianura glaciale - altrimenti nota come deserto di sabbia nera - di Sólheimasandur fino al vicino oceano, dove i sedimenti trasportati dell’impeto delle acque di fusione sta generando un progressivo fenomeno di progradazione della linea di riva con la formazione di ampi depositi di sabbie vulcaniche dal tipico aspetto desertico freddo.
L’evoluzione di un ghiacciaio tipo il Sólheimajökull è legata ad un fenomeno molto frequente in Islanda che la genesi di vulcani subglaciali. Si tratta di una forma vulcanica prodotta sotto la superficie di un ghiacciaio o di un inlandis.
Lo studio delle eruzioni sub glaciali è molto importante in quanto consente di valutare con attenzione le interazioni tra l’attività eruttiva ed i mutamenti climatici, sia essi naturali che condizionati dall’antropizzazione.
Recenti studi scientifici sull’argomento, pubblicati sulla rivista Nature Communications, suggeriscono ad esempio, che un antico vulcano che eruttò 1800 mila anni fa nel Canada occidentale, riuscì a rompere gli equilibri di una calotta glaciale, spessa circa il doppio rispetto a quanto precedentemente stimato. Per giungere a questa conclusione, il team ha studiato i campioni del Kima’Kho, un vulcano subglaciale parzialmente eroso nella provincia della British Columbia, dopo aver preso misure dettagliate circa il terreno limitrofo. Tali osservazioni hanno dato agli esperti la capacità di rendere i modelli più precisi rispetto alla calotta di ghiaccio regionale.
I ricercatori possono anche studiare i depositi prodotti da queste eruzioni subglaciali, al fine di capire se siano stati creati al di sotto o al di sopra della linea di galleggiamento dei grandi laghi all’interno dei ghiacciai – simili agli anelli d’acqua che vengono lasciati all’interno di una vasca da bagno. Essi sono in grado di estrarre informazioni su come il ghiacciaio si sia evoluto effettuando un’analisi di questi diversi “anelli”, o zone di passaggio. James Russell, un vulcanologo presso la University of British Columbia e autore principale dello studio, in collaborazione con il suo team, è riuscito ad effettuare misure precise dello spessore dello strato di ghiaccio antico al tempo dell’eruzione, avvenuta circa 1,8 milioni di anni fa. I ricercatori sono stati in grado, inolltre, di mappare una zona di passaggio dei depositi piroclastici che hanno lasciato la prima fase dell’eruzione, consentendo accurate stime dello spessore dei ghiacci. Questa tecnica può essere usata anche per altri vulcani subglaciali, molto rari, ubicati per lo più in Islanda, nella Columbia Britannica, nello stato dell’Oregon e sotto i ghiacci antartici. Applicando la stessa tecnica ad altri vulcani subglaciali si riuscirà a fornire nuove frontiere dei modelli paleoclimatici, che considerano tempi ed estensioni delle glaciazioni planetarie.
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